CBAM, LA NUOVA FASE: L’ANALISI DI COSA CAMBIA DAL 2026 AL 2028

23 Dicembre 2025

Con la fine della fase transitoria alle porte, la Commissione europea porta il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) fuori dalla teoria e lo mette davvero alla prova. Il pacchetto presentato a Bruxelles con la proposta COM (2025) 989 nasce da un messaggio che, negli ultimi mesi, è arrivato forte da imprese e autorità: il meccanismo funziona, ma è aggirabile e rischia di scaricare la pressione competitiva su chi produce “più a valle” (cioè su chi trasforma acciaio e alluminio in prodotti finiti). 

Dal reporting al prezzo del carbonio: il 2026 è lo spartiacque

Il CBAM è in vigore dal 1° ottobre 2023, ma fin qui ha imposto soprattutto obblighi di comunicazione. Il salto vero arriva con la fase successiva: da gennaio 2026 parte l’introduzione graduale del pricing sulle emissioni incorporate nelle importazioni, in parallelo al progressivo ridimensionamento delle quote gratuite ETS. È qui che il sistema smette di essere “solo un adempimento” e diventa un costo (o un vantaggio competitivo, per chi ha dati solidi e filiere già decarbonizzate). 

La Commissione lo dice in modo esplicito: con il passaggio al 2026, l’obiettivo non è cambiare rotta, ma rafforzare l’efficacia del CBAM, riducendo il rischio che la politica climatica europea venga neutralizzata da delocalizzazioni o da importazioni “sostitutive” più emissive. 

Perché si parla di “prodotti a valle”

Oggi il CBAM copre un set limitato di beni base: alluminio, cemento, elettricità, fertilizzanti, idrogeno, ferro e acciaio. 
Il problema è che questi materiali sono ingredienti di una quantità enorme di beni industriali: se il costo del carbonio sale per i materiali il rischio è che la concorrenza si sposti sui prodotti finiti importati non coperti dal meccanismo. È la “doppia spinta” dei costi che la Commissione descrive come fattore di vulnerabilità per i produttori europei downstream. 

Da qui la scelta: estendere il perimetro a una selezione di beni a valle ad alta intensità di acciaio e alluminio, cioè dove il contenuto di precursori CBAM è significativo e il rischio di carbon leakage è più alto. 

La data chiave: 1° gennaio 2028

La proposta stabilisce che le modifiche che richiedono implementazione di sistema, inclusa l’estensione ai prodotti downstream, si applichino a partire dal 1° gennaio 2028. È un passaggio importante anche sul piano pratico: significa che molte aziende, pur non importando oggi “beni CBAM” in senso stretto, potrebbero rientrare domani nel perimetro semplicemente perché importano prodotti finiti che incorporano quote rilevanti di acciaio/alluminio.

Stop alle “scorciatoie”: anti-elusione e default-value 

Il secondo pilastro del pacchetto è la parte anti-circumvention. Durante la fase transitoria sono emerse criticità ricorrenti: sottodichiarazioni, catene di fornitura “ritoccate” ad arte, e soprattutto rischi legati a emissioni dichiarate senza sufficiente tracciabilità. La proposta rafforza la capacità della Commissione di monitorare pratiche di aggiramento, inclusi interventi artificiali della supply chain per evitare gli obblighi CBAM. 

Nei chiarimenti ufficiali, la Commissione entra nel dettaglio operativo: per ridurre il rischio di pratiche abusive, in alcuni casi potranno essere imposti requisiti di reporting aggiuntivi (ad esempio sulla composizione dei beni), e l’uso delle emissioni “reali” potrà essere ammesso solo se accompagnato da documentazione di supporto; in mancanza, scatteranno valori predefiniti (default) specifici per Paese, tipicamente più penalizzanti. 

Tradotto: chi importa dovrà poter dimostrare “come” è stato calcolato il dato emissivo, non solo “quanto” vale.

Temporary Decarbonisation Fund: un “paracadute” per il rischio export

Accanto all’irrigidimento delle regole, la Commissione mette sul tavolo anche un elemento di equilibrio: la proposta COM (2025) 990 istituisce un Temporary Decarbonisation Fund con supporto finanziario nel 2028–2029, basato su un periodo di riferimento di produzione 2026–2027. 
L’idea è sostenere, in modo temporaneo e mirato, operatori UE di settori carbon intensive ancora esposti a rischio di carbon leakage, condizionando l’accesso al supporto a azioni e investimenti di decarbonizzazione. 

Sul finanziamento, la lettura pratica risulta chiara: il fondo sarebbe alimentato da contributi degli Stati membri, collegati a una quota dei proventi CBAM (indicata come 25% dei ricavi da vendita dei certificati CBAM). 

Per le Aziende interessate dalla normativa il punto non è solo se il CBAM si estende, ma come si governa il rischio nel frattempo.

Per molte imprese la partita 2026/2028 si giocherà su tre fattori:

1.     Classificazione e perimetro: capire dove finiscono i “beni base” e dove iniziano i prodotti downstream potenzialmente inclusi dal 2028; 

2.     Dato emissivo difendibile: senza tracciabilità e documenti a supporto, cresce la probabilità di finire su default-value meno favorevoli; 

3.     Contratti e supply chain: la raccolta dati non è più un dettaglio amministrativo; diventa una condizione commerciale (chi fornisce cosa, con quali evidenze, e con quale responsabilità in caso di verifica).

In sintesi estrema sintesi il CBAM sta entrando nella sua fase “adulta”. 

Lo Studio rimane a disposizione per approfondimenti in materia.

 

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Senior Advisor
Esperto in Restrizioni Internazionali, Normativa CBAM ed Export Control Compliance, fornisce assistenza specialistica presso lo Studio Carbognani. Effettua docenze presso Enti di formazione e associazioni di categoria quali ACIMAC, AMAPLAST ed UCIMA. Autore di pubblicazioni specialistiche sul portale International News dello Studio Carbognani Srl.
 
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