Lo Studio, in collaborazione con gli avvocati Cosimo Zuccaro e Giacomo Cardani, propone il terzo articolo dei quattro sull’argomento, entrando nel merito dell’analisi sul reato di contrabbando.
Spunti operativi: gli opportuni presidi per predisporre una dichiarazione doganale corretta.
A questo punto diventa di fondamentale importanza cercare di individuare dei presidi sicuri per poter predisporre una corretta dichiarazione doganale.
Torniamo ai tre parametri di cui ai precedenti punti A, B e C del paragrafo 2 del presente contributo che occorre considerare per predisporre in maniera corretta una dichiarazione doganale:
A. In merito alla classificazione (ossia all’attribuzione di un codice numerico alla merce), occorre considerare che esiste una tariffa (TARIC) che indica per la maggior parte delle merci presenti, il codice doganale di riferimento. Questa tariffa divide la merce in capitoli, ossia in categorie merceologiche. Ogni capitolo è diviso a sua volta in voci doganali (ad esempio per il capitolo degli animali, la voce doganale potrebbe essere quella dei bovini); ed ogni voce doganale è suddivisa a sua volta in sotto voci (es. la sottocategoria dei bovini potrebbe essere quella del bufalo). Il problema della classificazione doganale è dato dal fatto che la tariffa non può classificare tutte le merci e che, in tali casi, ci sono delle classificazioni che devono essere ipotizzate e devono essere ricostruire qualora, il prodotto o la merce, non sia rinvenibile nella TARIC. In tali circostanze l’operatore del settore potrebbe avere una incertezza su quale codice doganale applicare in maniera corretta e se nell’incertezza si paragonasse l’aliquota del dazio ad esempio del caso 1 con quella del caso 2, l’operatore sarebbe portato a scegliere l’aliquota più bassa: nel procedere con tale operazione, occorre tener presente che dall’altra parte la dogana potrebbe non essere d’accordo sulla classificazione e, dunque, intervenire per modificarla (quindi, nel caso di revisione dell’accertamento potrebbe verificarsi anche l’ipotesi di reato di contrabbando se venisse scelta volontariamente l’aliquota più bassa).
Cosa si può fare per classificare correttamente un prodotto ed evitare che la dogana contesti di aver scelto una classificazione agevolata o di favore con lo scopo di pagare meno dazi e commettere, tra le altre cose, anche il reato di contrabbando?
In tali casi è possibile chiedere alla dogana un aiuto nella classificazione del prodotto o della merce in maniera corretta: esiste, infatti, un istituto doganale denominato “informazione tariffaria vincolante” (i.e. ITV) che consente di chiedere alla dogana il corretto dazio da applicare. In questo caso la dogana si fa carico della richiesta e dopo un certo lasso di tempo (di solito, sessanta giorni dalla richiesta) attribuisce un codice doganale a quel prodotto o a quella merce che pone al riparo da qualsiasi contestazione futura da parte di qualunque dogana europea per i successivi tre anni. È un istituto gratuito (anche se lento da ottenere, e ciò è rilevante soprattutto nell’ipotesi in cui la mia merce è già in viaggio). Per tale ragione, a parere degli scriventi, occorre prepararsi prima al fine di poter utilizzare lo strumento dell’ITV, nonché essere dotati di una procedura doganale interna tale da consentire la corretta classificazione di un prodotto e, ove necessario, utilizzare il rimedio della citata informazione tariffaria vincolante. In alternativa, anziché presentare una ITV, non resterebbe che scegliere (fra il caso 1 e il caso 2) la classificazione con l’attribuzione del dazio più alto fra i due: ciò eviterebbe teoricamente di commettere il reato di contrabbando in quanto, evidentemente, viene corrisposto più del dovuto.
B. La stessa situazione potrebbe porsi in materia di origine della merce. Difatti, normalmente l’origine del prodotto o della merce coincide nel Paese in cui è stato fabbricato. La regola d’origine normale è la regola del “Made in …”; il problema è che vi sono molti prodotti (quasi la maggioranza) che non vengono fabbricati in un unico Paese, ma vengono fabbricati in tre, quattro, cinque paesi differenti: in questi casi, qual è la l’origine della merce? A titolo esemplificativo, un abito fabbricato con cotone cinese, tagliato in Bangladesh, cucito in India e rifinito in Turchia è “Made” in quale Paese?
La regola di origine in ambito doganale stabilisce che quando un prodotto o una merce viene fabbricato in più Paesi, il Paese che dà l’origine al prodotto è quello in cui è avvenuta l’ultima lavorazione o trasformazione sostanziale effettuata da un’impresa attrezzata e con una giustificazione economica. Al di là della definizione doganale di questa regola, è chiaro che quando il legislatore si esprime con termini tecnici, come nel caso di specie (es. trasformazione sostanziale, fasi del processo di fabbricazione et…) un temine tecnico diventa difficile da interpretare correttamente e da applicare in un caso concreto. O meglio, può essere discutibile l’applicazione al caso concreto di un termine tecnico generico.
Conseguentemente, per tali ragioni, si possono verificare dei problemi in merito all’origine della merce in quanto la dogana potrebbe ritenere che l’origine di quella merce (anche in buona fede) in realtà sia errata e in tali casi potrebbe anche ritenere che non ci sia stata buona fede nel dichiarare un’origine che paga ad esempio un dazio zero su un determinato prodotto quando - secondo l’assunto della dogana - quella merce dovrebbe pagare ad esempio un dazio del 71%.
È chiaro che anche la materia d’origine è particolarmente delicata in quanto la dichiarazione d’origine potrebbe essere utilizzata strumentalmente con la finalità di corrispondere in dogana un dazio inferiore a quello dovuto e, quindi, integrare gli estremi del reato di contrabbando intraispettivo.
È quanto mai opportuno che gli importatori e gli operatori del settore non soltanto abbiano ben presente le regole di origine della merce ma siano inflessibili nell’applicarle con rigore. Anche la determinazione dell’origine deve essere considerata con grande attenzione.
Ciò posto, anche in questo caso, come per la classificazione della merce, esiste la possibilità di farsi aiutare dalla dogana attraverso la c.d. “informazione vincolante di origine” con quale sostanzialmente è possibile chiedere direttamente alla dogana l’indicazione dell’origine corretta della merce o di quel prodotto, ponendo i soggetti coinvolti al riparo da eventuali successive contestazioni da parte della medesima dogana per i tre anni successivi. Nel dubbio, quindi, esiste la possibilità di chiedere l’attribuzione d’origine del prodotto.
C. Da ultimo ci soffermiamo sulle ipotesi in cui il valore della merce diventi un possibile elemento o occasione del reato di contrabbando.
Abbiamo poc’anzi precisato che il valore della merce consiste nel valore della transazione, ossia nel valore di vendita. Ma come si determina il valore di transazione in dogana?
Di base, il valore di transazione è costituito dal valore indicato in fattura a meno che questo non corrisponda al valore reale. Per ipotesi, se il contratto di compravendita ha delle condizioni per cui il valore della fattura non corrisponde al prezzo di vendita reale di quel prodotto o di quella merce (ad esempio il prezzo è più basso), in tale circostanza per la dogana la fattura non ha alcun valore nell’attribuzione del valore di transazione della merce in dogana e non può più essere considerata la base per la determinazione del dazio.
Infatti il valore della merce in dogana potrebbe essere rideterminato sulla base di altri parametri più simili a quelli di mercato e più simili a quelli del valore intrinseco del bene (ad esempio, il valore di transazione di merci identiche).
Vediamo alcune ipotesi in cui il valore di transazione non corrisponde al valore reale. Ciò sarebbe possibile ad esempio qualora (i) nel contratto si preveda che la restituzione del bene o della merce trascorso un determinato periodo di tempo in seguito alla vendita ovvero (ii) tra il venditore e l’acquirente vi siano legami che abbiano influenzato la determinazione del prezzo (i.e. transfer pricing). Difatti in tali casi il valore di transazione potrebbe essere disallineato rispetto al valore reale della merce se, per ipotesi, questa venisse acquistata da altro soggetto terzo ed indipendente. In tali casi la dogana effettua la revisione dell’accertamento assumendo che sia stato determinato volontariamente un valore di transazione più basso al fine di corrispondere alla dogana un dazio inferiore. Anche nel caso di un aggiustamento del valore di transazione da parte della dogana si corre il rischio di commettere il reato di contrabbando[1].
Parimenti, sempre con riferimento al valore della merce, altro caso in cui potrebbe essere contestato l’ipotesi di reato di contrabbando si verifica allorquando dovessero esserci due fatture relative alla medesima compravendita (una fattura più bassa che viene consegnata alla dogana ed una fattura ‘vera’ verosimilmente più alta registrata in contabilità).
In tali casi è possibile chiedere alla dogana di determinare il valore di transazione così come per la classificazione e per l’origine della merce? La risposta è: dipende.
È possibile per gli operatori economici autorizzati (i.e. AEO), ossia soggetti certificati quali affidabili da parte della dogana, concordare il prezzo (i.e. il valore di transazione) con la dogana stessa. Viceversa, nell’ipotesi in cui l’operatore non abbia ottenuto la qualifica di AEO, non è possibile procedere a tale attività; in tal caso occorre soltanto sperare che il prezzo determinato nella transazione sia un prezzo che la dogana ritenga corretto, affidabile e veritiero.
Lo studio rimane a disposizione per qualsiasi chiarimento in materia.
NOTE
[1] La statistica della revisione degli accertamenti è quasi uguale a quella dell'origine della merce e sicuramente superiore a quella della classificazione della merce.
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