Lo Studio, in collaborazione con gli avvocati Cosimo Zuccaro e Giacomo Cardani, propone il secondo articolo dei quattro sull’argomento, entrando nel merito dell’analisi sul reato di contrabbando.
La condotta del reato di contrabbando
La condotta punita dal reato di contrabbando consiste sia nella effettiva sottrazione delle merci al pagamento dei diritti di confine, sia nella forma del tentativo. Il bene giuridico protetto dalla norma sono le risorse proprie dell’Unione Europea (la dogana si sostiene con una parte del prelievo dei dazi, ma l’Unione Europea si sostiene con il resto dei dazi che non vengono lasciati alle singole agenzie come corrispettivo per la riscossione).
Il reato di contrabbando è un reato di dolo, quindi, il soggetto che non paga il dazio dovuto ovvero paga un importo inferiore rispetto a quello dovuto deve farlo consapevolmente per poter integrare l’ipotesi di reato. Questo è un aspetto molto importante soprattutto in considerazione del fatto che quando la dogana rinviene una dichiarazione doganale scorretta può comunque iniziare un procedimento anche penale a carico dell’importatore sul presupposto che questa violazione sia volontaria; sarà a carico dell’importatore l’onere di dimostrare l’assenza del dolo nell’operazione.
Ad ogni buon conto, vediamo di seguito le due modalità con cui si può realizzare il reato di contrabbando, ed in particolare il contrabbando intraispettivo e il contrabbando extraispettivo. Il secondo dovrebbe essere il più grave e si commette allorquando si oltrepassa il confine senza dichiarare di avere della merce soggetta a dazi doganali[1].
In verità, il problema più grave è rappresentato dal contrabbando intraispettivo che si verifica allorquando la merce è sottoposta alle normali procedure doganali ma i dati solo dolosamente dichiarati in maniera errata. A questo punto si tratta, quindi, di capire quando una dichiarazione doganale è errata?
La dichiarazione doganale è errata allorquando uno dei tre elementi, ossia la classificazione, il valore della merce e l’origine della merce, vengono affrontati in maniera scorretta dall’importatore.
Occorre, pertanto, procedere con l’analisi necessaria delle modalità con cui viene determinato un dazio:
A. un dazio si determina in base alla classificazione del prodotto: ogni prodotto che viene importato ha un suo codice doganale (il suo codice doganale in Europa è composto da 10 cifre). Il dazio viene applicato al codice doganale di riferimento. Quindi, la classificazione è l’operazione che consiste nell’assegnare ad una merce il corretto codice merceologico.
In altri termini, la classificazione ci dice qual è l’aliquota del dazio che deve essere pagata su quel determinato prodotto.
Questa è la prima variabile del dazio e della dichiarazione doganale.
La percentuale che si ottiene dalla classificazione della merce deve essere successivamente applicata al valore della merce.
B. in ambito doganale, il valore della merce è inteso non come il valore intrinseco della merce o valore di mercato; in detto ambito quando si parla di valore della merce occorre riferirsi al valore di transazione e cioè al valore che le Parti della compravendita hanno attribuito a quel dato oggetto. E, quindi, a condizione che questo valore sia correttamente determinato, l’aliquota del dazio che si ottiene dalla classificazione va applicata su questo valore. Conseguentemente, dalla cifra ottenuta si ottiene l’ammontare del dazio che occorre pagare in dogana.
In proposito, l’art. 70 del Regolamento n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 ottobre 2013 (nel prosieguo semplicemente denominato “CDU o Codice doganale dell’Unione), in merito al valore di transazione statuisce che: “La base primaria per il valore in dogana delle merci è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l'esportazione verso il territorio doganale dell'Unione, eventualmente adeguato”.
C. infine vi è una terza variabile che è costituita dall’origine della merce. In via preliminare occorre rappresentare che i dati vengono concordati dai Paesi a livello mondiale dall’Organizzazione mondiale del commercio (i.e. WTO), ma è possibile che talvolta questi dazi vengano ridotti allorquando più Paesi stipulano fra loro accordi di libero scambio oppure nel caso in cui vi siano Paesi particolarmente poveri o in via di sviluppo (PVS) che altri paesi importatori vogliono favorire. Ebbene, in questi casi avremo un’origine c.d. preferenziale della merce. In altri termini, se importo un determinato prodotto che ha una determinata aliquota di dazio da un determinato Paese può essere che in tal caso l’aliquota di dazio sia ridotta ovvero sia azzerata.
Per tale ragione, in caso di importazione, è importante verificare da quale Paese si importa un determinato prodotto con una determinata voce doganale perché il dazio potrebbe dipendere da questa origine. Il che ci porta ad un’altra questione: alcuni paesi vengono favoriti mentre altri paesi vengono sfavoriti, ad esempio perché si ritiene che altri paesi abbiano delle politiche commerciali aggressive e ingiustificate e perciò illecite secondo le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e, quindi, per tale ragione vanno sanzionati con dei dazi c.d. compensativi o dazi antidumping. Quando c’è un dazio antidumping a quella classificazione della merce non corrisponde più il dazio normale ma un dazio che può essere talvolta anche dieci volte più alto.
Nei precedenti punti A, B e C abbiamo analizzato il modo in cui si effettua una corretta dichiarazione doganale. Nell’ipotesi in cui uno di questi elementi venga considerato dolosamente in maniera errata (a titolo meramente esemplificativo allorquando il prodotto venga classificato in modo diverso da quello che sarebbe corretto ed applicando conseguentemente una aliquota di dazio più bassa ovvero laddove venga attribuito un valore diverso a quello che sarebbe stato corretto in base alle regole doganali oppure ancora laddove venga indicata un’origine diversa da quella corretta) la dichiarazione doganale diventerà scorretta e nell’ipotesi in cui uno di questi tre elementi sia stato volontariamente rappresentato in modo non veritiero si concretizzerà l’ipotesi di reato del contrabbando intraispettivo. Questo ci porta ad un ulteriore problema: quando il contrabbando intraispettivo viene perpetrato attraverso un atto pubblico, quale è a tutti gli effetti la bolletta doganale, il contrabbando diventa aggravato. In tali casi, ai sensi dell’art. 295 TULD rubricato “circostanze aggravanti del contrabbando”, è prevista una multa ed una reclusione da 3 a 5 anni (a titolo esemplificativo potrà essere eccepito dalla dogana il concorso con il falso ideologico commesso in atto pubblico da privati ai sensi dell’art. 483 c.p., ovvero il falso ideologico commesso da pubblico ufficiale ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 48 e 479 c.p. etc..).
Alla luce di quanto sopra, è lapalissiano che nell’istante in cui viene predisposta la bolletta doganale, se la medesima dichiarazione doganale è scorretta, si concretizzerebbe l’ipotesi di reato di contrabbando più grave.
Per tale ragione, tutte le società, gli Enti, gli importatori che non si siano ancora adeguati ad una compliance doganale (peraltro, anche in considerazione delle sanzioni che sono già di per sé molto onerose) è opportuno che vi provvedano tempestivamente soprattutto in questo momento storico in cui la fattispecie penale diventa assolutamente probabile per tale tipologia di reato.
Lo studio rimane a disposizione in caso di delucidazioni in materia.
NOTE
[1] Ad es. vado in Svizzera per comprare un orologio costoso, che costa evidentemente molto più di 10.000 € e non lo dichiaro in dogana: questo costituisce un "contrabbando extraispettivo".
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